| LE TRE LEGGENDE DEL BITTO e LA STORIA VALTELLINESE DELLA REGINA DI MILANO MARIANNA CAROLINA PIA DI SAVOIA
Brani scelti dal Racconto storico “BISABOSA”, di Alvaro Picchi, su testimonianze di Bernardino Pio Picchi e Frate Morpurgo.
La Principessa Marianna Carolina Pia di Savoia incoronata in Duomo Regina e Imperatrice del Regno Lombardo Veneto e dell’impero Austro-ungarico, il giorno dell’inaugurazione dell’Arco della Pace a Milano incontrò, tra gli invitati, un famoso ingegnere stradale. “Quell’uomo è Carlo Donegani? Il realizzatore della strada costiera lariana da Lecco a Colico?” Chiese la Regina al consorte Ferdinando I°. “Certo” rispose. “Ha servito l’Austria donando una strada di collegamento imperiale con il Regno Lombardo Veneto tramite la Valtellina e tu non dici niente? Merita immediatamente un riconoscimento!” Concluse la Regina. Ferdinando 1° non perse tempo. Durante corretti festeggiamenti conferì all’ingegner Donegani l’onorificenza di Cavaliere della Corona Ferrea. Pio, il precettore della Regina, di propria iniziativa, per celebrare l’avvenimento e la sua grande capacità politica, volle celebrare offrendo ai sovrani i due vini nobili della zona. Rivolgendosi solamente a Marianna Carolina pia di Savoia: “A Sua Altezza” disse Pio, “per riconoscenza possa gradire questi vini della Valtellina terra da Lei amata. Alziamo il calice con la delicatezza del SASSELLA e con la forza dell’INFERNO, con un inno rispettivamente alla Regina e a Sua Maestà”. “Perché codesti vini sono chiamati in modo così singolare. e il “BITTO” cosa è?” Chiese Pia. “Mia Regina”, principiò Pio, “l’origine del vino risale a qualche millennio. La storia, a questo punto, si fonde con la leggenda popolare. Ora ascolta”. Un Pastore, facente parte di una tribù insediata alla destra di un fiume, di ritorno da un lungo errare, portò con sé una piantina di uva proveniente da quello che ora è il Regno di Sardegna di vostro padre. Scoperta la condizione indispensabile allo sviluppo delle uve, creò delle terrazze di sostegno sui pendii della montagna con il compito di rifrangere il calore del sole e ottenere un aumento della temperatura. Balze formate da muretti a secco con grossi sassi. Per l’aumento di riflesso dai sassi, il vino ottenuto fu, dalla tribù di destra, denominato “SASSELLA”. “Per il vino Inferno”, proseguì la Regina, “quale fu il motivo?” Un Pastore, facente parte di una tribù insediata alla sinistra di un fiume, stimolato dall’emulazione fece altrettanto. Di ritorno dal Regno di Sardegna costruì le terrazze con muretti a secco formati da grosse pietre di colore verde raccolte nell’alta valle. Il riflesso del calore del sole molto più forte per la pregiata prerogativa di queste pietre, creò delle uve più generose. Per questo maggior calore il vino ottenuto fu dalla tribù di sinistra denominato “INFERNO”. La Regina Marianna Carolina Pia di Savoia chiese di poter visitare Sondrio. Queste montagne sentiva di amarle non come straniera ma come Regina Italiana. I Valtellinesi, a loro volta, dimostrarono di amare questa bellissima Regina per la sua delicatezza e l’impegno profuso nel governare con modestia in luogo dell’incapace Sovrano Consorte. A Sondrio innalzarono al Sovrano Ferdinando I° Il “Monumento della Riconoscenza” con l’intento di onorare anche la Regina Marianna Carolina Pia di Savoia. Per rispondere alla richiesta, da parte di Sua Maestà, di informazioni sul formaggio BITTO, Pio, il precettore, accompagnato da Marianna Carolina Pia di Savoia, inizia a ispezionare tutta la Valtellina. Fattorie, trattorie, alberghi, contrade agricole. Invano. Nessuna traccia di questo formaggio. Casualmente un contadino fornisce qualche dato. Si ha la sensazione che una gelosia umana sia esplosa per il BITTO. “Il Bitto non c’è” esordisce il contadino. “E’ raro, costa troppo. Si può trovare solo nelle baite dei ricchi possidenti in alta montagna”, prosegue, e “se qualcuno gli ispira fiducia allora, avvicinato con circospezione, gli è offerto il BITTO REALE”. Pio e la Regina non comprendono se “Reale” sta a “Vero” o “Superiore”. Comunque lo acquistano. Questo formaggio che diffonde un alone di mistero, ricco di leggende e fantasie spingono la Regina a ricercare altre notizie. Nel viaggio di ritorno s’incontrano con un frate dell’abbazia di Piona all’estremità nord del Lago di Como. Il destino potrebbe indicare, con il racconto del frate, l’inizio della ricerca.
“A Einsiedeln, città della Svizzera centrale, nel cantone di Schwyz, sorse nel 934 l’abbazia benedettina fondata da Benno ed Eberardo. Dopo un periodo di grande splendore, durato fino al 1537, l’abbazia decadde con la riforma luterana. Aspre lotte di religione distrussero ogni oggetto religioso. Diversi cattolici sfuggirono alle persecuzioni rifugiandosi al centro del lago di Como portando con sé la statua della Vergine scolpita nel nero ebano. Tra le masserizie fu trovato un pregiato manoscritto. Era il lungo lavoro di un frate amanuense che trattava argomenti di erboristeria, e di alimentazione. Prescriveva come si doveva conservare ogni cosa, ovvero mettere a disposizione nel tempo beni e alimenti che altrimenti sarebbero andati perduti”. A questo punto il frate dell’abbazia, sorridendo, inizia la storia che ritiene una piacevole fiaba, sebbene celebrata per secoli dai Grandi della letteratura e dell’arte.
“Leonida di Taranto, poeta, girovago di origine greca che condusse una miserabile esistenza, incontrò l’Etrusco errante (< L’Uomo selvatico > del Sud). Insieme salirono al Nord. Percorrendo la catena delle Alpi incontrarono genti prevalentemente di origine celtica: Suboerini, Catubrini, Isarci, Anauni, Camunni, Lepontini. Per sfuggire alle violenze tribali vivevano tutti in alta montagna. Brutali, scontrosi, animaleschi, coperti di pelame, isolandosi sulle più alte vette avevano arricchito la loro conoscenza sulle virtù delle erbe e sulla conservazione degli alimenti nel tempo. L’incontro tra Leonida, l’Etrusco e i le genti selvagge divenne proficuo. Leonida insegna a creare il fuoco con il latte. L’Etrusco, in cambio, insegna a conservare per lungo tempo un alimento derivato dal latte: il formaggio. Le caratteristiche della flora, con le sue erbe aromatiche e medicinali concludono il manoscritto. La descrizione fa presumere che i formaggi della catena delle alpi siano stati creati simultaneamente migliaia di anni or sono. Tra queste, sorgono le storiche leggende che indicano questo selvaggio Etrusco errante il vero inventore dei formaggi alpini. Dai graffiti, in modo specifico, “L’Homo Salvadego” potrebbe essere il creatore del BITTO. Tra le labbra della Regina Marianna Carolina Pia di Savoia si schiudono ripetuti sorrisi di grande soddisfazione. Rivolgendosi a Pio, il precettore, inizia con una serie di opinioni di grande pregio. “Se l’uomo selvatico fosse stato un semplice boscaiolo, ignorante, non avrebbe auto gli onori della letteratura italiana, per parte di Poliziano e Pulci”. Disse la Regina, rivolgendosi al precettore. “ Soprattutto la sua immagine non sarebbe stata immortalata come statua marmorea nel grande “Libro di Pietra” di Milano: Il Duomo”. Dopo una pausa la Regina vuol conoscere le leggende del popolo.
Il frate accoglie la richiesta raccontando le tre leggende più importanti attribuite al solo formaggio BITTO della omonima valle.
La prima leggenda attribuisce alla presenza di una forma di BITTO in famiglia, una protetta benedizione del focolare. La seconda leggenda attribuisce alla probabilità che la Capra, foraggiando particolari fiori in simultaneità con la mucca, arricchisca il latte e quindi il BITTO, di determinate sostanze terapeutiche o di effetto placebo. La terza leggenda è la più singolare. Si afferma che sui monti della Valtellina cadano, ogni anno, sette fulmini su sette forme di BITTO. Non è chiaro come avvenga. Tuttavia aperta una di dette forme sono apparsi alcuni segni con effetto soprannaturale. La credenza popolare attribuisce al BITTO un segno di Dio e lo rende più amato e ricercato. Il frate è felice di queste storie, favole e leggende. Sono storie infinite che ci avvicinano e insegnano ad amare. Con un lieve inchino alla Regina e una delicata benedizione esclama: Lode a Dio per questo bene che ci ha donato. ALVY (Bisabosa)
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