L'Ottocento di Sissi e Ludwig II

I Lorena in esilio

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-enry1973
view post Posted on 7/8/2007, 12:40




Posto qui un interessante spunto sui Lorena in esilio.


I Lorena in esilio.
Pare che gli Asburgo Lorena in esilio in Austria dopo l'Unità fossero tanti e che Sissi non li amasse.
Lei per fortuna era già morta quando scoppiò lo scandalo di Luisa d'Asburgo Lorena che divorziò da Federico Augusto di Sassonia, ma l'Imperatore, capo della famiglia tutta, privò la fedifraga di beni e titoli.
Mi incuriosisce la storia delle tre sorelle minori di Luisa ( Margherita, Germana e Agnese) che rimasero zitelle, pare confinate con la madre nel castello di Schwertberg (un paesino a metà strada tra Vienna e Salisburgo) dove si spensero tutte e vennero sepolte, molto dopo la caduta dell'Impero asburgico. Sembrano il simbolo di un triste tramonto !
C'è qualche scritto che parla di loro?
Elena45
 
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sofonisba
view post Posted on 8/8/2007, 21:50




CITAZIONE
Posto qui un interessante spunto sui Lorena in esilio.
I Lorena in esilio.
Pare che gli Asburgo Lorena in esilio in Austria dopo l'Unità fossero tanti e che Sissi non li amasse.
Lei per fortuna era già morta quando scoppiò lo scandalo di Luisa d'Asburgo Lorena che divorziò da Federico Augusto di Sassonia, ma l'Imperatore, capo della famiglia tutta, privò la fedifraga di beni e titoli.
Mi incuriosisce la storia delle tre sorelle minori di Luisa ( Margherita, Germana e Agnese) che rimasero zitelle, pare confinate con la madre nel castello di Schwertberg (un paesino a metà strada tra Vienna e Salisburgo) dove si spensero tutte e vennero sepolte, molto dopo la caduta dell'Impero asburgico. Sembrano il simbolo di un triste tramonto !
C'è qualche scritto che parla di loro?
Elena45

Per rispondere brevemente al quesito di Elena sulle più giovani Arciduchesse figlie di Ferdinando IV, Anna, Margherita, Germana ed Agnese, poco si può dire. Su di loro non ho notizia di nessuno scritto.
Anna fece in tempo a sposarsi, con un principe di Hohenlohe-Bartenstein, la cui sorella, Nora Principessa Fugger ci ha lasciato un breve resoconto della festa di nozze nel suo libro “Gli splendori di un Impero”, pubblicato in Italia negli anni ’30. Il suo – per ciò che se ne sa – fu un matrimonio felice, allietato dalla nascita di numerosa prole, senza scandali e senza mormorazioni.
Poi accadde la catastrofe. Luisa scappò e si dette a quelle belle imprese che ho descritto nella discussione sul “figlio segreto di Rodolfo”. Non ho dubbi che quella donna fosse una squilibrata. E non solo per il fatto di aver abbandonato marito e figli – che comunque rimane un gesto di estrema gravità – ma anche per tutto il resto. Per aver troncato la carriera a quel disgraziato che la sposò in seconde nozze. Per essersi disinteressata anche a quell’ultimo figlio. Per aver scritto un libro vergognoso, in cui si permise giudizi beffardi ed irridenti perfino nei confronti di una persona che non aveva mai conosciuto, ed il cui ricordo in Toscana era addirittura venerato: una prozia, sua omonima, sorella di Leopoldo II, nata infelice nel fisico, ma così modesta e buona e così caritatevole che neppure i più accesi repubblicani e nemici del Granduca avevano mai osato dire una sola parola contro di lei. I fiorentini compativano questa povera creatura, che viveva solo per occuparsi di opere di carità, ed ho letto personalmente alcuni suoi scritti, fra i quali un bigliettino in cui si scusava nel modo più umile e contrito con un impiegato per aver dimenticato di trasmettergli i saluti del Granduca. Questa poverina morì ben prima che i Lorena partissero per l’esilio, Luisa di Sassonia non la conobbe mai, eppure ne scrisse in un modo da vergognarsi a leggere.
Quanto al fatto che abbandonasse marito e sette figli, lo trovo di una gravità estrema. E non perché io sia particolarmente bacchettona o bigotta che dir si voglia; ma perché, a quell’epoca, una simile azione era estremamente dannosa per un numero di persone che – oggi – neanche ci si può lontanamente immaginare. Oggi, ad esempio, un uomo che rompesse un fidanzamento con una ragazza solo perché la sorella di questa, sposata, è scappata di casa con un altro, sarebbe giudicato irrimediabilmente (e giustamente) un cretino; allora, invece, era normale. Il concetto di “responsabilità personale”, nel corso di un secolo, si è alquanto evoluto.
All’epoca, l’azione di Luisa fu un capolavoro di dissennatezza e di mostruoso egoismo, non solo nei confronti dei figli, ma anche delle sorelle, dei genitori, di tutta la “linea Toscana” della Casa Imperiale.
Abbiamo proprio l’esempio dell’Imperatrice Elisabetta a dimostrarci che una donna di quel rango poteva viaggiare, stare lontana da figli e marito, fare quello che accidenti voleva senza – per questo – provocare scandali! Invece, dopo le imprese di Luisa e del fratello, l’Imperatore sospirava dicendo:-Ogni famiglia ha la sua “linea Toscana”!- Intendendo dire che in ogni famiglia c’è una pecora nera.
Le sorelle minori erano delle ragazze tranquille e normali, ma aveva ragione la loro madre, la Granduchessa Alice: per colpa della maggiore, non trovarono marito. Neppure un nobile di rango inferiore si azzardò a correre il rischio: rimasero zitelle, in casa con i genitori.
Il Granduca Ferdinando IV morì nel 1908, la Granduchessa Alice nel 1935, all’età di ottantasei anni. In quel lungo intervallo accadde di tutto, come è noto. La Grande Guerra, il crollo dell’Impero, la proscrizione degli Asburgo e la confisca dei loro beni. La Famiglia passò dei brutti momenti. Il nuovo Capo della Linea Toscana, il Granduca titolare Pietro Ferdinando (fratello maggiore delle Arciduchesse) venne esiliato con moglie e figli, e trascorse in Svizzera gli anni dal 1919 al 1935 (salvo un breve permesso che gli fu concesso nel 1929 per andare a salutare la madre per l’ottantesimo compleanno). Poi il Cancelliere Dolfuss permise loro di rientrare, poterono recuperare qualcosa dei beni sequestrati e stabilirsi nuovamente in Austria, a condurre un’esistenza decisamente più modesta.
In tutti quegli anni le Arciduchesse vissero in Austria, a Schwertberg, con la loro madre, come era normale a quel tempo per tutte le donne, non solo per le Altezze Imperiali e Reali, ma anche per le plebee: le donne uscivano di casa se si sposavano, altrimenti restavano ad assistere i vecchi genitori. Era impensabile che una ragazza andasse “a vivere da sola”. E poi le Arciduchesse Margherita, Germana e Agnese, nate rispettivamente nel 1881, 1884 e 1891, alla fine della Grande Guerra non erano più delle graziose giovinette. Vissero modestamente, prima con la madre, poi da sole, ormai anziane. Margherita, la più vecchia, fu quelle che visse più a lungo, addirittura fino al 1965. Sicuramente ricorderà ancora bene queste prozie il nipote del Granduca Pietro Ferdinando (che morì nel 1948).
La storia è triste, ma spesso nella vita ci sono cose peggiori che restare zitelle.

Di una di loro, l’Arciduchessa Margherita, ho una foto giovanile:
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Questa è la sorellastra, l’Arciduchessa Maria Antonietta, nata a Firenze nel 1858 e morta a venticinque anni di tubercolosi:
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Qui sono raffigurate da bambine, con quasi tutti i fratelli e le sorelle ed i genitori: da sinistra il G.duca Ferdinando IV, Leopoldo, Luisa, Giuseppe Ferdinando, Pietro Ferdinando, Enrico, Anna, Margherita, Germana, Roberto e la Grand.ssa Alice (manca Agnese, la più piccola):
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Questa foto si presume raffiguri il funerale del Granduca Ferdinando IV, nel 1908:
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E questa è l’artistica Luisa di Sassonia:
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Edited by sofonisba - 8/8/2007, 23:08
 
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pretore
view post Posted on 9/8/2007, 12:22




Grazie a Sofonisba per le notizie interessanti e le foto, davvero rare, riguardanti la storia dei Lorena in esilio. A questo punto gradirei anche il titolo di qualche libro per approfondire.
L’interesse in me è nato per puro caso, quando mi sono chiesta se ancora esistono dei loro discendenti, diretti o indiretti, in Italia.
Ho scoperto, tra l’altro, che uno di essi, l’arciduca Ludovico Salvatore, fratello di Ferdinando IV, fu uno scienziato naturalista e appassionato viaggiatore e che ospitò Sissi a Maiorca.
Come ho già detto più volte, e come Sofonisba insegna, penso che siano stati i principi stranieri migliori che l’Italia abbia avuto e che abbiano amato il nostro paese, tanto da divenire essi stessi più italiani che austriaci.
A proposito, giustificato sì dal comportamento scandaloso di Luisa, ma molto sprezzante e significativo, il commento di Francesco Giuseppe: “Ogni famiglia ha la sua “linea Toscana !”
Dimenticava che anche la linea principale aveva i suoi scheletri nell’armadio, sia pure nascosti fino alle estreme conseguenze.
Elena45
 
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sofonisba
view post Posted on 9/8/2007, 22:32




CITAZIONE
Posto qui un interessante spunto sui Lorena in esilio.
I Lorena in esilio.
Pare che gli Asburgo Lorena in esilio in Austria dopo l'Unità fossero tanti e che Sissi non li amasse.
Elena45

Sissi, come è noto, si sposò appena sedicenne nel 1854, e questi parenti toscani non ebbe occasione di conoscerli fino al 1859.
In quell’anno, all’inizio di maggio, arrivarono tutti in Austria: il Granduca Leopoldo (nato a Firenze nel 1797), sua moglie la Granduchessa Maria Antonietta di Borbone 2 Sicilie (nata a Palermo nel 1814), ed i loro figli: Ferdinando (n. 1835), Carlo (n. 1839), Maria Luisa (n. 1845), Luigi (n. 1847) e Giovanni (n. 1852). C’erano anche una nipotina di un anno, Maria Antonietta, figlia del principe ereditario Ferdinando (che aveva sepolto da meno di tre mesi la giovane moglie Anna di Sassonia); ed una specie di “nonna”, cioè la vedova del precedente Granduca Ferdinando III, Maria Ferdinanda Amalia di Sassonia (n. a Dresda il 27 aprile del 1796).
Un branco di Italiani, e probabilmente neppure di buon umore. Nessuno di loro era un audace cavallerizzo da circo, nessuno scriveva poesie o suonava la cetra; nessuno, insomma, pareva fornito di quelle eccelse qualità che avrebbero potuto rendere simpatica una persona all’Imperatrice Elisabetta.
Erano partiti da Firenze il 27 aprile (proprio il giorno del compleanno della Granduchessa Vedova), alle sette di sera, su tre carrozze, accompagnati da due giovani e fedeli aristocratici Toscani, Nerli e Silvatici, ed avevano viaggiato tutta la notte, passando il confine all’alba del 28 aprile alle Filigare, dopo il Passo della Futa.
A Bologna avevan dovuto sostare qualche giorno, per procurarsi vestiti e biancheria, visto che erano partiti con ben scarso bagaglio, giusto coi vestiti che avevano addosso. All’inizio del viaggio, vedendo per l’ultima volta il panorama della loro città, sovrastato dal cupolone , si erano accorti di non aver portato con se nemmeno i fazzoletti, e la Granduchessa Maria Antonietta aveva strappato parte della sua sottoveste per distribuirla ai familiari; era imbarazzante aver voglia di piangere e non avere neppure il fazzoletto.
Questo era stato il congedo del Granduchi dalla Toscana. Ora qualcuno digiuno di storia, o anche solo non abbastanza informato sul caso specifico, potrebbe pensare che, per partire così, senza neppure i bagagli, a Firenze ci fosse stata chissà quale rivoluzione, con giacobini fiorentini pronti ad assaltare Palazzo Pitti armati di picche e berretti frigi.
In realtà, non c’era stato niente di tutto questo. Il popolo era stato ancora una volta “il grande assente”, secondo una illuminante definizione che settant’anni dopo avrebbe espresso Gramsci a proposito del nostro risorgimento.
I contadini ed il popolo minuto, quindi la stragrande maggioranza della popolazione, sia in Toscana che altrove erano ancora attaccati alla Religione, alla vecchia forma di governo, agli antichi Stati indipendenti ed alle tradizioni degli avi. Essi erano i veri depositari della cultura; ma siccome erano poveri, in gran parte analfabeti, e parlavano solo il dialetto, non furono mai “opinione pubblica”.
Per spiegare più in dettaglio cosa successe, è necessario fare un passo indietro, e mi scuso anticipatamente della digressione.
Gli anni ’50 del XIX secolo, come è noto, videro il consolidamento del Regno di Sardegna come nazione guida dell’Italia, con le astute manovre diplomatiche del ministro Cavour, la partecipazione alla Guerra di Crimea (primo, ma non ultimo esempio di intervento militare italiano in zone a fatica rintracciabili sul mappamondo), ed il corteggiamento dell’astro nascente nel panorama delle potenze europee, l’uomo nuovo, Napoleone III Imperatore dei Francesi. Massone e protettore del Papa, repubblicano e monarchico, rivoluzionario ed uomo d’ordine, Napoleone III fu un personaggio estremamente contraddittorio, ma senza dubbio a lui spetta il merito (o demerito, a seconda dei punti di vista) di aver attuato l’unificazione italiana.
In quegli anni tutti erano concordi sul fatto che l’Italia, prima o poi, ed in una qualche forma, dovesse essere unificata. Perfino da parte austriaca vennero avanzati dei progetti in tal senso, e precisamente da parte dell’Arciduca Massimiliano, Viceré del Lombardo-Veneto e fratello dell’Imperatore Francesco Giuseppe. Ovviamente, un progetto di unificazione confederale promosso da un Arciduca austriaco non poteva piacere al Re di Sardegna ed al suo Ministro, Conte di Cavour. Né i progetti in tal senso di Cavour potevano essere graditi dal Viceré del Lombardo-Veneto e dagli altri regnanti italiani. Dei quali il più intelligente e progressista, il Duca Carlo III di Parma, era stato proprio in quegli anni molto opportunamente assassinato, si disse dai mazziniani; se ciò è vero, Mazzini avrebbe reso davvero un grande servigio ai Savoia, togliendo di mezzo l’unico personaggio in grado di dar ombra a Vittorio Emanuele, e di contrastare in qualche modo l’egemonia che il Piemonte si apprestava ad esercitare sulla unificazione italiana, attribuendosi una sorta di “monopolio” sul patriottismo e sull’italianità.
In tale clima fraterno, l’italiano Felice Orsini si recò a Parigi per lanciare una bomba contro la carrozza di Napoleone III che, miracolosamente illeso, si ricordò improvvisamente di certi obblighi contratti verso la causa dell’unificazione italiana al tempo in cui, non ancora assurto ai fasti del trono imperiale di Francia, era esule in Italia e faceva parte della Carboneria.
Questi “ricordi di gioventù” condussero Napoleone, nel luglio del 1858, ad incontrare a Plombiéres il Conte di Cavour per mettere a punto un piano di guerra contro l’Austria. Tali macchinazioni, che vanno sotto il nome di “accordi di Plombiéres”, e vennero ovviamente tenute segrete, prevedevano lo scoppio di una insurrezione a Massa e Carrara, che avrebbe provocato un intervento militare austriaco, e quindi un controintervento del Piemonte, appoggiato dalla Francia; poi la guerra di liberazione della Lombardia e del Veneto dagli austriaci, e la loro annessione al Regno di Sardegna. La parte finale degli accordi prevedeva quindi un nuovo assetto dell’Italia, come confederazione di tre regni: del Nord, comprendente Piemonte, Lombardia, Veneto, Parma, Modena e Bologna, sotto lo scettro dei Savoia; del Centro, comprendente Toscana, Umbria, Marche, Romagna e parte della provincia di Viterbo, affidato ai Lorena o ai Borbone o ai Bonaparte; del Sud, con il Regno delle Due Sicilie, peraltro già esistente, lasciato ai Borbone, o dato ai Murat; la presidenza della Confederazione Italiana sarebbe stata affidata al Papa. In cambio, alla Francia sarebbero state cedute Nizza e la Savoia, unica cosa che poi effettivamente si verificò.
Sulla base di questi accordi, che in quanto a democrazia e rispetto per i diritti dei popoli non avevano niente da invidiare al patto Ribbentrop-Molotov del 1939, appare evidente l’importanza assunta dalla Toscana nel decidere il futuro destino dell’Italia: una Toscana semplicemente annessa al Nord, cioè al Regno di Sardegna, avrebbe compromesso qualsiasi progetto di federazione o confederazione italiana.
Forte di questi patti, all’inizio del 1859 il Re Vittorio Emanuele annunciò al suo Parlamento di non poter più rimanere insensibile al grido di dolore che da tante parti d’Italia si levava verso di lui.
All’epoca, la Toscana era uno degli Stati italiani più felicemente amministrati, e sicuramente quello in cui eventuali “gridi di dolore” sarebbero stati più fuori luogo; un relativo benessere era diffuso presso tutti i ceti della popolazione, il bilancio statale era in attivo, le tasse poco gravose, gli amministratori pubblici onesti. Il Granduca regnante, l’ormai anziano Leopoldo II, era una degnissima persona che, invece di occuparsi di “congiure contro la pace”, si preoccupava di costruzione di strade, ponti e ferrovie, di lavori idraulici e bonifiche di zone paludose.
Il Granduca ed i suoi Ministri, impegnati in tali opere di progresso civile del loro Stato, non si accorsero, purtroppo, del pericolo incombente in caso di guerra fra il Piemonte e l’Austria, e continuarono con la tradizionale politica di mitezza e tolleranza che aveva fatto della Toscana il rifugio dei perseguitati politici provenienti dagli altri Stati italiani, fiduciosi che, in caso di guerra, la Toscana avrebbe potuto mantenersi neutrale.
Politica di mitezza e tolleranza che, in quei primi mesi del 1859, permise a Cavour di inviare a Firenze, come Ministro Plenipotenziario il Conte Carlo Boncompagni, con mandato di trascinare con ogni mezzo la Toscana in guerra contro l’Austria; permise lo scatenarsi di una massiccia campagna di stampa favorevole alla guerra, e la partenza di volontari toscani per arruolarsi nell’esercito piemontese; permise inoltre che uno sparuto gruppo di aristocratici e borghesi fiorentini, capeggiato dal Barone Bettino Ricasoli e dal Marchese Ferdinando Bartolommei, organizzasse, in accordo con gli emissari di Vittorio Emanuele, una specie di “comitato rivoluzionario” che caldeggiava la guerra solo come pretesto per deporre la dinastia regnante e portare la Toscana all’annessione con il Regno piemontese; permise infine un completo disorientamento dell’opinione pubblica toscana che, ingannata dall’inerzia del Governo toscano di fronte a questi fatti gravissimi, pensò che lo stesso Granduca fosse disposto a dichiarare guerra all’Austria come nel 1848.
Invece Leopoldo II era fermamente deciso a mantenere la neutralità della Toscana: agli inviati austriaci, che a più riprese chiesero l’intervento del piccolo esercito toscano a fianco dell’Austria, oppose un rifiuto, così come alle offerte di Boncompagni per una alleanza con il Piemonte.
Nel frattempo, dopo l’ultimatum austriaco al Regno di Sardegna (che fornì il pretesto senza bisogno della progettata insurrezione a Massa e Carrara), scoppiò effettivamente la guerra, e la conseguenza immediata fu la cosiddetta “rivoluzione del 27 aprile 1859” in Toscana. Si trattò, in realtà, di una pacifica dimostrazione di “interventisti” che si tenne a Firenze nei giorni 26 e 27 aprile; la richiesta di intervento, avanzata sulla piazza dai dimostranti e nel palazzo dagli aristocratici liberali, decise il Granduca, piuttosto che a cedere, a partire con tutta la famiglia, nel giro di poche ore e senza neanche fare i bagagli, lasciando la Toscana.
I fiorentini fecero ala al passaggio delle carrozze salutando il Granduca, senza neanche lontanamente immaginare che il congedo sarebbe stato definitivo. Tutto fu così improvviso che nella maggior parte della Toscana la notizia arrivò quando il Granduca era già fuori dai confini dello Stato.
Il “governo provvisorio” nominato la sera stessa del 27 aprile dal Consiglio Comunale di Firenze, si trovò in pratica già superato dal tempismo dell’iniziativa personale di Bettino Ricasoli, il quale, senza che nessuno lo avesse incaricato, il 27 aprile era già a Torino a trattare con il Conte di Cavour. Risultato di tali trattative fu, praticamente, la consegna della Toscana al Piemonte: giuramento delle truppe toscane a Vittorio Emanuele, invio in Toscana di ufficiali piemontesi, forniture militari all’esercito piemontese, divieto di costituzione di una Guardia Nazionale toscana, nomina di un governatore civile e militare da parte del Re di Sardegna.
Il Conte Boncompagni, che aveva servito così bene il suo Re, travalicando di gran lunga i limiti della correttezza diplomatica, fu nominato Commissario Regio per la Toscana.
A questo punto stavano le cose quando la famiglia granducale toscana arrivò in Austria, e Sissi ebbe modo di fare la loro conoscenza. Ma certo nessuno pensava, in quel momento, che la loro permanenza in Austria sarebbe diventata definitiva.
Nel giugno, finalmente, le sorti della guerra vennero decise dalla battaglia di Solferino, vinta dai francesi; l’armistizio di Villafranca, firmato da Francesco Giuseppe e Napoleone, e sottoscritto anche da Vittorio Emanuele, prevedeva esplicitamente la restaurazione del Granduca in Toscana. Per questo motivo il vecchio Granduca Leopoldo, volendo facilitare le cose, abdicò in favore del figlio Ferdinando. L’Armistizio prevedeva, inoltre, la formazione di una Confederazione italiana, a cui avrebbe partecipato anche il Veneto, pur restando austriaco, mentre la Lombardia sarebbe stata ceduta alla Francia, che a sua volta l’avrebbe ceduta al Piemonte.
In seguito a tale accordo, passato alla storia quasi come un tradimento di Napoleone III nei confronti dell’Italia, i governanti provvisori della Toscana si accorsero, dopo ben quattro mesi di governo, di non rappresentare l’espressione della volontà popolare, e quindi indissero delle elezioni, a suffragio estremamente limitato in base al censo, a cui partecipò circa il 2% della popolazione.
L’Assemblea che venne eletta risultò composta da 172 Deputati, tra i quali si contavano: 2 Principi, 1 Barone, 29 fra Marchesi e Conti, 31 Avvocati e 45 Dottori. Tale Assemblea, non molto rappresentativa di un paese in cui almeno il 75% della popolazione era occupato solo nel settore agricolo) votò a grande maggioranza tra il 16 e il 20 agosto del 1859 due decreti a favore della deposizione dei Lorena e dell’annessione della Toscana al Piemonte. Con ciò il Commissario Regio piemontese Boncompagni terminò il suo mandato in Toscana; evidentemente a Torino si considerò abbastanza “Commissario Regio” un tipo come Bettino Ricasoli che, non si sa bene se per interesse personale o per certe utopie maldigerite che gli ottenebravano il giudizio, era stato capace di compiere un tale tradimento nel confronti del suo popolo e del suo sovrano.
Vittorio Emanuele, per riguardo a Napoleone III, non aveva ancora esplicitamente accettato l’annessione della Toscana, ma lasciava il partito annessionista in buone mani: non per niente, infatti, Bettino Ricasoli si guadagnò proprio in quel periodo il soprannome di “Barone di Ferro”, allusivo alla sua caparbietà ed ai metodi non proprio democratici impiegati per raggiungere i suoi obbiettivi. La mitezza e la tolleranza del Granduca ebbero modo di essere rimpiante dai toscani, perché Ricasoli usò metodi da dittatore, introducendo nel dibattito politico l’uso del manganello, e riuscendo a soffocare qualsiasi opposizione, ottenendo fra gli intellettuali toscani numerose conversioni alla monarchia sabauda.
I mesi seguenti furono dedicati a serrate trattative diplomatiche tra Vienna, Parigi e Torino, poiché le clausole stabilite a Villafranca non erano state rispettate dai Piemontesi, che sulla questione della Toscana, dei ducati dell’Emilia e delle Legazioni (che erano nella stessa situazione) sostenevano di non poter far niente e di non avere alcuna responsabilità nell’accaduto. Troppo lungo sarebbe enumerare lo svolgimento di tali trattative, e le diverse soluzioni proposte. Basterà comunque accennare al fatto che da parte piemontese si preferì rinunciare al Veneto in una Confederazione pur di non fare la Confederazione.
Alla fine, l’unica via d’uscita per risolvere la spinosa questione apparve quella del Plebiscito, che ebbe luogo il 1 marzo del 1860.
Stavolta la votazione ebbe luogo con il suffragio universale maschile, votò circa il 22% della popolazione toscana, e l’annessione al Piemonte vinse a schiacciante maggioranza, anche perché il voto, per giunta palese, si svolse in un tale clima di intimidazione che un risultato diverso sarebbe stato impossibile. Il Barone Ricasoli, tanto per non smentirsi, dette l’esempio agli altri proprietari terrieri toscani obbligando i propri contadini ad andare a votare accompagnati dal fattore armato di fucile.
Questa fu la fine della Toscana indipendente, libera, ricca e civile, rimpianta nel giro di pochi anni anche dagli stessi uomini che il 27 aprile avevano provocato la sua fine, e che si trovarono ad assistere agli scandali ed agli sperperi di Firenze capitale, con la città invasa da gente oltremontana che, nel migliore dei casi, proponeva di intonacare la facciata di Palazzo Vecchio ed imbiancare i muri affrescati del Salone dei 500. La pura e semplice annessione al Piemonte della Toscana e dei Ducati emiliani, inoltre, fu la chiave di volta del Risorgimento, ed aprì la strada, di lì a pochi mesi, ad una delle pagine più vergognose della nostra storia: l’aggressione armata (senza neppure una dichiarazione di guerra) del pacifico Regno delle Due Sicilie, in cui l’esercito piemontese si dedicò a bruciare paesi ed a massacrare anche la popolazione inerme.
Comunque, fu così che, con scarso entusiasmo di Sissi, e con profondo dolore degli interessati (e per motivi più seri che non l’antipatia di Sissi, della quale probabilmente neppure si resero conto) il soggiorno in Austria degli Asburgo Lorena del ramo Toscano divenne definitivo.

Il Granduca Leopoldo II e la Granduchessa Maria Antonietta
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Il Granduca Ferdinando IV nel 1861
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CITAZIONE
Grazie a Sofonisba per le notizie interessanti e le foto, davvero rare, riguardanti la storia dei Lorena in esilio. A questo punto gradirei anche il titolo di qualche libro per approfondire.
L’interesse in me è nato per puro caso, quando mi sono chiesta se ancora esistono dei loro discendenti, diretti o indiretti, in Italia.
Ho scoperto, tra l’altro, che uno di essi, l’arciduca Ludovico Salvatore, fratello di Ferdinando IV, fu uno scienziato naturalista e appassionato viaggiatore e che ospitò Sissi a Maiorca.
Come ho già detto più volte, e come Sofonisba insegna, penso che siano stati i principi stranieri migliori che l’Italia abbia avuto e che abbiano amato il nostro paese, tanto da divenire essi stessi più italiani che austriaci.
A proposito, giustificato sì dal comportamento scandaloso di Luisa, ma molto sprezzante e significativo, il commento di Francesco Giuseppe: “Ogni famiglia ha la sua “linea Toscana !”
Dimenticava che anche la linea principale aveva i suoi scheletri nell’armadio, sia pure nascosti fino alle estreme conseguenze.
Elena45

Sono contenta di essere stata utile, e fornirò anche qualche titolo, tenendo conto che la mia biblioteca è per metà deportata in casa di mio padre, e che quindi non li ho tutti sottomano ora.
Posso rispondere per punti, anzi a puntate?
Innanzitutto posso segnalare un link sull’Arciduca Luigi, quello che riuscì ad essere simpatico a Sissi. E’ questo:

http://www.ludwig-salvator.com/ital/basis.htm

E questo è proprio lui:image

Riguardo ai discendenti attuali, non vivono in Italia ma a volte ci vengono in visita, e sono persone serie che non fanno parlare di se. Se interessa, posso postare anche le foto. Ma proseguo domani, perché sono un po’ stanchina.
 
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pretore
view post Posted on 10/8/2007, 14:56




Ricevuto. Ancora grazie!
Elena45
 
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sofonisba
view post Posted on 10/8/2007, 20:13




CITAZIONE
Grazie a Sofonisba per le notizie interessanti e le foto, davvero rare, riguardanti la storia dei Lorena in esilio. A questo punto gradirei anche il titolo di qualche libro per approfondire.
L’interesse in me è nato per puro caso, quando mi sono chiesta se ancora esistono dei loro discendenti, diretti o indiretti, in Italia.
Elena45

Sui Lorena la bibliografia – per quanto possa sembrare sorprendente – non è molto grande. O meglio, notizie su di loro si trovano ovunque, ma più nella descrizione di loro opere che per quanto riguarda la loro vita.
Mi spiego con i primi esempi che mi vengono in mente. Esistono libri sulle bonifiche della Maremma, nei quali si parla di Leopoldo II che ci lavorò per tutto il periodo del suo regno, che iniziò nel lontano 1824. Ne esistono anche sull’ultima grande opera pubblica del Granducato, il prosciugamento del lago di Bientina con una ardita opera di ingegneria (un condotto sotto il letto dell’Arno) che ci mostrano Leopoldo II, ormai anziano, che dormiva in baracca insieme all’altrettanto anziano Ing. Alessandro Manetti, per sorvegliare da vicino i lavori. Manetti controllava i mattoni da impiegare uno per uno (come aveva fatto secoli prima Brunelleschi per costruire il cupolone) ed infatti quell’opera è ancora in condizioni perfette.
Esistono le memorie dello scultore Giovanni Dupré, che ricorda l’estrema bontà d’animo di Leopoldo il quale, nel periodo in cui il Dupré venne colpito da un forte esaurimento, lo spedì a spese sue a Napoli con moglie e figlia, intimandogli di pensare solo a guarire dalla sua malattia.
Esistono le memorie di Ferdinando Martini (poi Ministro delle Colonie del Regno d’Italia, ma all’epoca solo un giovanotto nipote del Ministro granducale Giulio Martini) in cui ricorda la vita beata ed a buon mercato nella Firenze granducale, e riporta perfino un simpaticissimo episodio della sua più tenera infanzia: Leopoldo II che, durante una festicciola di bambini a Palazzo Pitti, salvò il piccolo Ferdinando Martini da una sicura sculacciata della madre prendendolo in braccio e cercando di scusare una sua innocente marachella.
Esistono le «Memorie lontane» di Guido Nobili, che nel 1859 era un bambino di dieci anni ed assistette disgustato ai preparativi da parte di suo padre e dei suoi zii della manifestazione del 27 aprile; disgustato perché solo pochi giorni prima li aveva visti intenti a fare grandi inchini e salamelecchi alla Granduchessa, ed alla sua innocenza e rettitudine di bambino tutto ciò ripugnava e pareva – come in effetti era – tradimento.
Ecco perché è difficile citare una completa bibliografia, perché esempi come questi, di libri che parlano di tutt’altre cose ma poi riportano informazioni – talvolta anche importanti – sul Granduca ve ne sono a migliaia.
Una opera importante è quella pubblicata negli anni ’20 dello scorso secolo da Giuseppe Conti, dal titolo «Firenze vecchia». Qualcuno l’ha pure messa in rete, ecco il link:

http://bepi1949.altervista.org/firenze/firenze.html

E’ interessante, riporta anche dati biografici sui Lorena, anche se risente molto dell’epoca in cui venne scritta: c’erano il Re Vittorioso e il Duce, ed era d’obbligo esaltare i Savoia e l’Italia, quindi non si potevano lodare tanto i Granduchi, e l’autore non risparmia loro battutine maligne ecc. ecc. Ma neppure lui, con tutte le sue spiritosaggini, può trasformare il Granduca in un “impiccatore di patrioti”, e quindi le battutine maligne lasciano il tempo che trovano, ed i fatti restano.
Poi, negli ultimi 30 anni, c’è stato un risveglio di interesse sul tema. Ci sono da segnalare «La Toscana dei Lorena» di Paolo Bellucci, ed. La Medicea, opera divulgativa, ma buona e precisa.
E soprattutto un vero benemerito è stato uno storico austriaco, Franz Pesendorfer, che ha pubblicato nel 1989 con la Sansoni «Leopoldo II», una biografia in cui, però, parla soprattutto degli eventi che portarono alla perdita del trono. A cura dello stesso Pesendorfer, la Sansoni ha anche pubblicato nel 1987 «Il Governo di Famiglia in Toscana», che sono le memorie di Leopoldo II scritte da lui stesso, ed è un libro interessantissimo anche per capire la psicologia del personaggio. Che si può compendiare in una parola sola: un uomo buono. I sudditi più umili l’avevano capito bene, dal momento che lo chiamavano “il Babbo”. Soprannome che non ha niente della piaggeria cortigiana con cui sarebbero stati soprannominati i Savoia: “Galantuomo” uno che rapinò i Borbone di Napoli perfino dei beni privati; “Buono” uno che insignì della più alta decorazione il Generale Bava-Beccaris per ricompensarlo di aver sparato cannonate a mitraglia sulla povera gente affamata; ed infine “Vittorioso” il Re della fuga di Pescara. I soprannomi dei Savoia furono un capolavoro di umorismo involontario, non c’è che dire!
Invece i soprannomi di Leopoldo nacquero in modo più semplice e spontaneo: “Canapone” per il colore dei capelli chiari, e “Babbo” per la sua bontà d’animo.
Per quanto riguarda il periodo dell’esilio, c’è un libro dedicato ad un federalista che visse ed operò in Toscana, «Eugenio Alberi», di G. Cucentrentoli, pubblicato nei primi anni ’70, che riporta lettere di Ferdinando IV ai suoi fedeli ed i tentativi di azione politica volta ad una restaurazione, nel periodo immediatamente seguente al 1860. Dello stesso autore anche «Gli ultimi Granduchi di Toscana», interessante solo per i documenti pubblicati.
C’è anche una rivista dell’Archivio Fotografico Toscano (anno III, numero 6, Dicembre 1987) che riporta due articoli di Franz Pesendorfer e Marco Matteucci sulle vicende dell’esilio.
Poi, all’Archivio di Stato di Firenze, c’è qualcosa di lettere private e documenti vari; ebbi la fortuna di leggerli oltre vent’anni fa.
Ma ancora manca – purtroppo – uno storico tipo Antonia Fraser o Adam Wandruszka che si sia preso la briga di scrivere una biografia completa e ben documentata di Leopoldo II, seguendo il personaggio dalla nascita, a Firenze nel lontano 1797, all’infanzia in Austria e Germania (a Würzburg), al ritorno a Firenze ed al lungo regno, interrotto dalla parentesi quarantottesca con un breve esilio a Gaeta con Papa Pio IX, al ritorno in Toscana, fino all’esilio definitivo in Boemia, ed alla morte a Roma all’inizio del 1870.
Per ciò che ho letto tra i documenti di Archivio posso testimoniare che nella famiglia granducale si parlava in italiano, anzi in toscano. Che la loro vita era molto semplice, e che un certo fasto vigeva solo nelle solennità religiose o in occasione di matrimoni, ecc. Per il resto, vivevano semplicemente, e c’erano rapporti di grande affetto tra coniugi e tra genitori e figli.
Il Granduca era quasi sempre in Maremma, intento a quella grandiosa opera di bonifica che, coi mezzi di allora, era veramente un lavoro immane. La Granduchessa riteneva, e lo scrisse in una lettera, di essere stata di gran lunga la più fortunata tra tutte le sue sorelle (alcune sposate a potenti monarchi) per aver avuto in sorte un marito come il Granduca.
E poi, oltre alle carte, restano le opere; mi è capitato di viaggiare per la Toscana anche in luoghi anonimi e semisconosciuti, scoprendo con sorpresa la vecchia lapide che ricorda una visita o un’opera fatta da Leopoldo II, ai tempi in cui nelle opere pubbliche i soldi spesi erano spesso minori di quelli preventivati (senza per questo che gli operai fossero malpagati o morissero come le mosche per incidenti sul lavoro, perché anzi accadeva il contrario).
Il Granduca fece costruire le prime ferrovie, da Firenze a Livorno e da Firenze a Pistoia. Fece la odierna Statale Tosco-Romagnola, che collega il Tirreno all’Adriatico. Oltre ad una infinità di altre strade tutt’ora in uso. E tutte generalmente rimaste come le costruì lui, adatte per i carri e le carrozze e troppo strette per l’odierno traffico automobilistico. Tutto questo in 35 anni di regno. E non esiste ancora di lui una biografia completa ed esaustiva.
Meno male che Leopoldo scrisse personalmente le sue memorie! Mi viene quasi da ridere pensando che questo povero Granduca ha dovuto fare proprio tutto da solo! Anche la sua biografia!



Bandiera toscana:
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Ferdinando III, il padre di Leopoldo, morto di malaria contratta mentre si occupava della bonifica della Val di Chiana:
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Leopoldo da giovane e la sua prima moglie, Maria Anna Carolina di Sassonia, morta di tubercolosi nel 1832. La descrizione della sua morte è una delle pagine più tristi delle Memorie di Leopoldo, che le era molto attaccato.

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l’Ing. Alessandro Manetti, validissimo collaboratore del Granduca nelle sue bonifiche:
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La Granduchessa Maria Antonietta nel 1836, dipinta da Giuseppe Bezzuoli; il quadro a colori, alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, è bellissimo. Ma, come sapete, nei musei è proibito al privato cittadino di fotografare, e coloro che dovrebbero, col cavolo che vendono almeno una cartolina con questo ritratto a colori (accidenti a loro!). Ne ho solo una foto in bianco e nero, risalente a chissà quanti decenni or sono.

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Busto di Leopoldo II al vecchio Archivio di Stato, vicino agli Uffizi.
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PS
Prosegue alla prossima puntata.

Edited by sofonisba - 14/8/2007, 00:39
 
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sofonisba
view post Posted on 12/8/2007, 14:04




Le vicende dell’esilio dei Lorena innanzitutto riguardano colui che per 35 anni aveva regnato, con grandi meriti ed assai pochi demeriti, nel Granducato: il Granduca abdicatario (dal 21 luglio 1859) Leopoldo II.
Dopo una vita trascorsa in Italia, anzi in Toscana, si ritirò nella sua proprietà di Schlackenwerth, in Boemia, a vivere gli ultimi anni. Già il clima – così rigido e diverso da quello in cui aveva trascorso la vita – non giovò affatto alla sua salute. In più possiamo aggiungerci il resto, le sofferenze morali dell’esilio, del pensiero fisso alla sua terra. A quanto scriveva la Granduchessa al figlio maggiore, il vecchio Granduca pensava continuamente ai lavori per la bonifica della Maremma, e non voleva persuadersi che ormai non poteva più farci niente, che non dipendeva più da lui.
Fra i toscani, molti non lo avevano dimenticato, ed intrattenevano con lui una fitta corrispondenza.
Nel ’65 morì la sua matrigna, la vecchia Granduchessa Maria Ferdinanda di Sassonia, ed a Firenze, nella Chiesa di Santa Felicita, venne celebrata, con gran concorso di popolo, una Messa di suffragio per questa nobile Signora, che aveva vissuto per quarant’anni in Toscana. Il Governo italiano ne fu allarmatissimo, e si preoccupò intanto di far schedare i pubblici impiegati che intervennero alla funzione religiosa; tanto per dire l’aria che tirava in Toscana dopo l’annessione.
Nel novembre del 1869, passando dalla Francia e sbarcando a Civitavecchia, Leopoldo II si recò a Roma per l’apertura del Concilio Ecumenico, rivide il Papa Pio IX, la figlia Maria Isabella (sposata ad un Borbone di Napoli, e che viveva a Roma, anch’essa in esilio), nonché moltissimi toscani che approfittarono dell’occasione per andare a fargli visita. Forse tante emozioni non gli giovarono. Fu proprio a Roma, nella notte fra il 28 ed il 29 gennaio 1870, che il vecchio Granduca morì, e fu lo stesso Pontefice Pio IX che impartì la benedizione al feretro.
La salma del Granduca Leopoldo venne sepolta nella Chiesa dei SS. Apostoli, dove riposò in pace fino al 1914 quando – per motivi che non conosco – venne traslata a Vienna ed inumata nella Cripta dei Cappuccini.
Suo figlio Ferdinando fece in tempo giusto a recarsi a pregare sulla tomba del padre nel marzo successivo; poi anche lì a Roma arrivarono i bersaglieri, ed anche quella città diventò infrequentabile.
Ferdinando IV, come ho già accennato, dal 21 luglio del ’59 era il nuovo Granduca di Toscana. Riconosciuto come tale anche da diversi Stati esteri, presso i quali esistevano legazioni toscane; per cui non c’è niente da eccepire sul suo titolo di Granduca di Toscana.
I suoi tentativi di tornare sul trono, sostenuti da un largo movimento d’opinione che era pur presente in Toscana, e con la collaborazione di un federalista cattolico, Eugenio Albéri (naturalizzato toscano, uno dei tanti che, in odore di liberalismo, si erano rifugiati nella mite e tollerante Toscana di Leopoldo II decenni prima) , non ebbero alcun successo. Col tempo il tutto si esaurì, anche perché col trascorrere dei mesi tutti gli Stati finirono per riconoscere il nuovo Regno d’Italia. (escluso il Papa: «La Civiltà Cattolica», il giornale dei gesuiti, si riferì al regno d’Italia come “nato dal latrocinio e dal sacrilegio”). Ferdinando fu particolarmente amareggiato dal riconoscimento da parte della Sassonia, dove regnava il suocero, Re Giovanni; e da quello dell’Austria, nell’ottobre 1863, anche se i suoi “colleghi” esiliati Francesco II Re delle 2 Sicilie e Francesco V Duca di Modena lo dissuasero dall’elevare una formale protesta, per non mettere in imbarazzo l’Imperatore Francesco Giuseppe.
Rimase comunque nel popolo toscano, e specie nei ceti più umili, il ricordo ed il rimpianto per il precedente governo, specie di fronte alla politica spietata contro la povera gente del nuovo Regno d’Italia. Mi è capitato di trovarne curiose testimonianze. Ad esempio in un piccolo libello ottocentesco, anonimo, in cui si paragonavano i provvedimenti grandiosi per soccorrere la popolazione colpita presi dal Granduca quando l’Arno straripò nel 1844, con quelli presi dal nuovo regime in occasione di un’altra alluvione (di minore portata) avvenuta nel ’67, in cui vennero mandate a soccorrere i sinistrati giusto due barchette, ma accuratamente dipinte di bianco, rosso e verde. L’anonimo estensore commentava, disperato:”...imbecilli anco nelle disgrazie!”.
Ho letto anche alcune poesie di un curioso poeta girovago fiorentino della seconda metà dell’800, Mario Palazzi, che scriveva frasi di rimpianto per il Granduca, e concludeva a proposito del nuovo Regno:«....per chi ha rubato/l’altrui sostanze/ son tempi d’oro/ per le finanze/ Se tenta il popolo/dir sue ragioni/vi è Bersaglieri, Linea e cannoni/Così ragione/han sempre loro/Ecco la bella età dell’oro!».
Fino alla prima Guerra Mondiale, quando un certo Arnaldo Foppiani, nel suo libro di memorie dal titolo «Ubriacarsi con l’acqua» riporta un episodio avvenuto in trincea. Il Foppiani, all’epoca giovane interventista e nazionalista, si indignò enormemente sentendo un giovane commilitone toscano, contadino delle campagne aretine, dire:-Il nostro Granduca non si sarebbe mai sognato di mandare a morire così i suoi sudditi per conquistare una città di montagna e portare a Trieste la miseria all’ombra del tricolore!-
Per fortuna all’epoca della Grande Guerra Ferdinando IV era già morto, e questo dispiacere gli venne almeno risparmiato. Ma torniamo a lui, a Ferdinando IV.
Ferdinando era rimasto vedovo, come già accennato, tre mesi prima di lasciare la Toscana. La sua giovane moglie,Anna di Sassonia, era morta alla fine di gennaio del 1859, in occasione di un viaggio della Famiglia Granducale a Napoli, per assistere alle nozze tra l’erede al trono Francesco (futuro Re Francesco II) con Maria Sofia di Baviera. La giovane principessa morì non so bene se di tifo o di colera per aver mangiato dei frutti di mare inquinati, e la gita a Napoli si concluse quindi in tragedia per tutta la famiglia.
Anna di Sassonia, principessa ereditaria di Toscana, fu l’ultima persona della famiglia regnante ad essere sepolta nella Cripta della Basilica di San Lorenzo, a Firenze. E Ferdinando, nei fatidici giorni della cosiddetta “rivoluzione toscana” era ancora sconvolto per la perdita subita, tanto che varie testimonianze riferiscono di un suo contegno apatico ed assente. Gli unitari ebbero anche questa fortuna, a quanto pare!
Comunque il giovane Granduca, che aveva amato molto la moglie, per sposarsi nuovamente attese quasi dieci anni. La prescelta fu un’altra principessa italiana esiliata: Alice di Borbone-Parma, figlia del defunto Duca di Parma Carlo III e di Maria Luisa di Borbone (figlia del Duca di Berry e nipote del Re di Francia Carlo X). Il fratello di Ferdinando, Carlo, aveva sposato nel 1861 la cugina Maria Immacolata, principessa di Borbone delle 2 Sicilie, figlia del Re Ferdinando II e sorellastra del Re esiliato Francesco II.
Cosicché, in famiglia si continuò irrimediabilmente a parlare in italiano anche in esilio. Curioso questo fatto che tutti questi “stranieri” spodestati parlassero l’Italiano, e che invece i nuovi regnanti d’Italia parlassero più volentieri in francese o in dialetto piemontese (che al francese assomiglia parecchio). Forse qualcuno sarà in grado di spiegarci questo mistero. Ferdinando IV, poi, ebbe anche delle difficoltà col tedesco, perché lo parlava male, e proprio bene bene non riuscì mai a parlarlo.
Dopo la morte del vecchio Granduca, fu raggiunto un accordo con il Governo Italiano per i beni dei Lorena che erano rimasti in Toscana, e venne loro pagato un indennizzo. In questo furono assai più fortunati dei Borbone di Napoli, anche perché il Governo Austriaco li appoggiò.
L’Imperatore fece assegnare loro anche un appannaggio, e quindi economicamente non si trovarono male. La famiglia aveva del resto già alcune proprietà in Boemia, e rimase loro anche la proprietà di una tenuta (l’Alberese) in Maremma (che sarebbe stata loro confiscata dall’Italia nel 1915).
Ferdinando, che inizialmente aveva vissuto in Baviera, a Lindau, sul Lago di Costanza, stabilì la propria residenza a Salisburgo. Sia il palazzo di Salisburgo che la villa di Lindau (che si chiamò – l’avrete indovinato - “Villa Toscana”)vennero riempiti di ricordi dell’amata patria di Ferdinando. La sua vita lì trascorse tranquilla – se non felice – e spesso in estate era invitato ad andare a caccia con l’Imperatore.
A Sissi erano antipatici, e nelle sue poesie ne scrive con disprezzo, come di italiani furbi che vivevano alle spalle di suo marito. In realtà le cose non stavano affatto così. Ma tanta antipatia era dovuta al fatto che fossero italiani (ed a Sissi gli italiani non piacevano); al fatto che avessero molti figli (non vedo cosa gliene dovesse importare a lei); ed anche che avessero un albero genealogico impeccabile (a differenza di Sissi che, da parte di padre, aveva antenati appartenenti anche a nobiltà di rango minore). Tutto questo insieme di cose li rendeva antipatici agli occhi della bella Imperatrice, tanto bella ma anche tanto egoista ed egocentrica; ma probabilmente, come ho detto, gli interessati non se ne accorsero neppure, ed il tutto rimase confinato nei quaderni in cui la illustre dama scriveva le sue poesie. Solo che, per chi le leggesse ora, senza essere informato sui fatti, si avrebbe un quadro brutto di personaggi che invece brutti non furono affatto, e che soffrirono più di Sissi e per ragioni più serie delle sue fisime. Alla fine, poi, anche Sissi dovette moderarsi, quando proprio la sua figlia preferita, la sua cocca, Maria Valeria, trovò marito fra di loro, e mise al mondo anche lei una nidiata conigliesca di bambini.
Con Ferdinando IV rimasero per tutta la vita quei due giovani aristocratici toscani che il 27 aprile del ’59 erano saliti in carrozza con la famiglia granducale: il Marchese Nerli ed il Barone Silvatici.
Il primo tutta la vita, perché è sepolto a Salisburgo, il secondo chiese congedo dal Granduca per tornare a morire (quasi in miseria) a Firenze solo da vecchio, ai primi del ‘900: due commoventi esempi di ammirevole fedeltà ed amicizia.
Dei fratelli minori di Ferdinando si può dire che erano ancora bambini piccoli quando lasciarono Firenze, e forse per loro fu un po’ meno difficile adattarsi ad una nuova vita. Luigi è famoso, divenne un originale, si dedicò ai viaggi ed agli studi, ed ebbe il buonsenso di rimanere scapolo. Fu l’unico per il quale Sissi ebbe molta simpatia (e che Francesco Giuseppe, forse un po’ geloso, chiamava “Luigi il Grasso”).
Giovanni merita un discorso a parte. Entrò a far parte dell’esercito austro-ungarico, fu molto amico dell’Arciduca Ereditario Rodolfo, ed insieme a Rodolfo lottò (vanamente) con tante vecchie cariatidi misoneiste per migliorare l’efficienza dell’esercito. Personalmente non credo che lui e Rodolfo fossero coinvolti in congiure, non credo al libro della Larisch ed ai suoi vaneggiamenti sulle cassette di ferro ecc. ecc. ecc. Credo invece che la tragica morte di Rodolfo abbia deciso l’Arciduca Giovanni, rimasto privo di prospettive per la scomparsa di chi lo capiva e lo sosteneva, a compiere un passo estremo di rottura. Sposò la donna che amava, una giovane – credo ballerina – senza una goccia di sangue blu di nome Milli Stubel, rinunciò ad appartenere alla Casa Imperiale, prendendo il nome di Giovanni Orth, e, dopo aver salutato la vecchia madre che viveva a Gmunden, nel 1890 si imbarcò ad Amburgo come capitano di lungo corso, non senza aver prima spedito a Francesco Giuseppe, con un comune pacchetto postale, la decorazione del Toson d’Oro (cosa che indignò enormemente l’Imperatore).
Di lui, della moglie, della nave e di tutto l’equipaggio – fino ad oggi – non si è saputo più niente, e si presume che abbiano fatto naufragio vicino alla Terra del Fuoco e siano tutti scomparsi in mare.
La vecchia Granduchessa Maria Antonietta trascorse così gli ultimi anni della sua vita con l’angoscia per questo figlio perduto, credo che rimanesse vittima anche di sciacalli che le estorsero del denaro promettendole informazioni. Morì il 7 novembre del 1898, ed è sepolta nella solita Cripta dei Cappuccini.
Dei figli di Ferdinando IV abbiamo già detto. I due maggiori furono un disastro, e non è escluso che il loro comportamento abbia contribuito ad abbreviare la vita del loro padre, che morì a Salisburgo il 17 gennaio del 1908. Nel suo testamento – l’avrete indovinato – si parlava soprattutto della Toscana, dove avrebbe voluto esser sepolto, al fianco di Anna, la prima moglie. Invece è nella Cripta dei Cappuccini, a Vienna.
Il titolo di “Granduca” passò, dopo la morte di Ferdinando, al figlio Giuseppe Ferdinando (n.1872+1942), e poi, dopo la prima guerra mondiale, al fratello minore Pietro Ferdinando (n.1874+1948).
Pietro Ferdinando, che prestò servizio nell’esercito austro-ungarico raggiungendo il grado di Generale di Corpo d’Armata, e fu tenuto in grande considerazione anche dall’Imperatore (il che è tutto dire, considerando che l’Imperatore non era un tipo di gusti facili), sposò nel 1900 la principessa Maria Cristina delle 2 Sicilie, figlia di Alfonso Conte di Caserta (fratellastro ed erede “in titolo” del Re Francesco II). Ebbero quattro figli: Goffredo (n. 1902), Elena (n. 1903), Giorgio (n. 1905) e Rosa (n. 1906).
Durante la guerra combatté, insieme al fratello Granduca Giuseppe Ferdinando, in Galizia, cotro i russi, avendo ottenuto di non combattere sul fronte italiano. Dopo la guerra fu ri-esiliato anche dall’Austria, e visse dal ’19 al ’34 (o ’35) a Lucerna, in Svizzera, con la sua famiglia.
Quando poté tornare, gli resero anche qualcosa dei beni confiscati, e comprò una villetta nel Salisburghese, dove i discendenti vivono tutt’ora, e dove il Granduca morì nel 1948, preceduto un anno prima dalla moglie.
Divenne nuovo Granduca di Toscana “in titolo” l’Arciduca Goffredo. E qui i dati biografici si fanno più scarni, perché dopo il crollo di due regni e due esilii, anche questi personaggi diventano dei privati cittadini, che per mantenersi vanno a lavorare. Il Granduca Goffredo, infatti, andò a lavorare, e nel 1938 sposò la principessa Dorotea di Baviera (n. 1920), figlia del principe Francesco e di Isabella di Croy, dalla quale ebbe quattro figli: Elisabetta (n.1939), Alice (n.1941), Leopoldo (n.1942) e Maria Antonietta (n. 1950). Nel ’41 lo arruolarono nella Wehrmacht (con scarso entusiasmo dell’interessato) e prestò servizio in Olanda ed in Renania; poi, dopo l’attentato del 20 luglio 1944 (compiuto assolutamente tutto da aristocratici tedeschi) il pazzo – non fidandosi più dell’aristocrazia – li buttò tutti fuori dall’esercito, ed alcuni anche in campo di concentramento. Tra i quali il Granduca Goffredo e suo fratello, anche se nessuno di loro aveva avuto minimamente a che fare con l’attentato. Dopo la fine della guerra tornarono a vivere nella loro villetta, dove il Granduca Goffredo sarebbe morto pacificamente nel 1983. Il Granduca Goffredo, che parlava il fiorentino in uso alla metà dell’800, era un innamorato della Toscana, e da giovane l’aveva anche visitata (in incognito); da vecchio, purtroppo, essendo troppo malandato in salute, non poté più tornarci.
Il figlio Leopoldo, Granduca “in titolo” di Toscana dal 1983 al 1990 ca., è Ingegnere, progetta (o progettava, non so se ora sia in pensione) motori (non ho mai capito se per imbarcazioni o per aerei). Venne spesso in Toscana, spesso invitato da Regione e/o Comuni per iniziative varie in ricordo dei suoi Avi. A Pisa ed a Grosseto lo hanno anche fatto cittadino onorario. Ha ceduto il titolo di Granduca al figlio Sigismondo credo verso il 1990.
Il Granduca “titolare” Sigismondo, nato nel 1966, è Ingegnere anche lui, ma informatico. E’ sposato con una aristocratica scozzese, Elyssa Juliet Edmonstone, ed hanno tre figli. Anche lui è “cittadino onorario” di varie città toscane, e di tanto in tanto viene in Toscana.
Sono comunque persone molto serie, che non fanno parlare di se, e per questo non sono molto famosi. Il che, nel mondo di oggi, è un grosso pregio.
Quanto agli altri Asburgo-Lorena della linea Toscana, sono numerosi, molti discendono dal fratello di Ferdinando IV, l’Arciduca Carlo. Credo che fra tutti potrebbero popolare uno stadio di calcio (non di serie “A”, uno più piccolo) ma comunque anche di loro non si sente mai parlare, e non c’è nessuno che fa il pagliaccio sui giornali di “gossip”. E questo, a noi toscani, fa veramente molto piacere.


Arme Toscana: image



Il Granduca Leopoldo II nei suoi ultimi anni:image

Papa Pio IX
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Ferdinando da giovane e sua moglie Anna di Sassonia
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Alice di B. Parmaimage




L’Arciduca Carlo e sua moglie Maria Immacolata di Borboneimage


L'Arciduca Giovanni image

Giovanni Orth:
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Ferdinando IV, anziano, con le figlie Anna e Germana ed il figlio Enrico:
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Il Granduca Giuseppe Ferdinandoimage


Il matrimonio dell’A. Pietro Ferdinando con Maria Cristina di Borbone, a Cannes nel 1900:
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Pietro Ferdinando e Maria Cristina
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La Famiglia di Pietro Ferdinandoimage


Il Granduca Pietro Ferdinando a Cannes con i figli:
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Il Granduca Pietro Ferdinando sul pallone aerostatico
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Il Granduca Goffredo da anziano, e la Granduchessa Dorotea con due dei figli negli anni '40.
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Il Granduca Leopoldoimage

Il Granduca Sigismondo
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La Granduchessa Elyssa Juliet con il figlio maggiore, l’Arciduca Leopoldo
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Edited by sofonisba - 7/9/2007, 09:40
 
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pretore
view post Posted on 12/8/2007, 17:50




Lungo, esaustivo, accuratamente documentato, l'excursus a puntate sulla discendenza di Leopoldo II e Ferdinando IV.
Perchè non ti cimenti in una vera biografia da pubblicare?
Mi convinco sempre più che, con le dovute eccezioni, i Savoia sono proprio un'altra progenie.
 
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sofonisba
view post Posted on 12/8/2007, 18:12




Mi sarebbe così tanto piaciuto scrivere una biografia del Granduca! Ero quello che pensavo avrei fatto "da grande". Poi purtroppo ho perso tempo in altre - assai più idiote - attività, ed ormai la biografia del Granduca dovrà scriverla qualcun altro.

Dimenticavo: esiste anche , di Antonio Archi, "GLI ULTIMI ASBURGO E GLI ULTIMI BORBONE IN ITALIA (1814-1861)", Ed Cappelli, 1965.
 
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view post Posted on 10/2/2008, 20:04
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imperatore

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Dopo tanti mesi di silenzio per aver smarrito la password, mi registro di nuovo e trasmetto a Sofonisba una notizia interessante (che molto probabilmente già saprà, ma io ci provo lo stesso):
Uno dei figli della tanto vituperata Luisa d'Asburgo Lorena, Georg (1893-1943), divenne prete gesuita e fu ucciso dai nazisti per aver nascoso cittadini ebrei.
Mi confemate che la nobiltà austriaca e bavarese fu tutta antinazista?
Quella tedesca, invece, si schierò in larga parte con Hitler. Avete notizie più precise?
L'argomento esula dal forum, ma consente di allargare le nostre conoscenze.
Elena45
 
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roberto 88
view post Posted on 10/2/2008, 20:45




CITAZIONE (sofonisba @ 12/8/2007, 18:12)
Mi sarebbe così tanto piaciuto scrivere una biografia del Granduca! Ero quello che pensavo avrei fatto "da grande". Poi purtroppo ho perso tempo in altre - assai più idiote - attività, ed ormai la biografia del Granduca dovrà scriverla qualcun altro.

Dimenticavo: esiste anche , di Antonio Archi, "GLI ULTIMI ASBURGO E GLI ULTIMI BORBONE IN ITALIA (1814-1861)", Ed Cappelli, 1965.

Sofo se vuoi la scrivo io!Ovviamente col tuo aiuto perchè nn so così tante cose!Brava Sofo!!
E un benritornata anche a Elena! ;)

FedeTere
 
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sofonisba
view post Posted on 10/2/2008, 21:00




CITAZIONE (elena45 @ 10/2/2008, 20:04)
Dopo tanti mesi di silenzio per aver smarrito la password, mi registro di nuovo e trasmetto a Sofonisba una notizia interessante (che molto probabilmente già saprà, ma io ci provo lo stesso):
Uno dei figli della tanto vituperata Luisa d'Asburgo Lorena, Georg (1893-1943), divenne prete gesuita e fu ucciso dai nazisti per aver nascoso cittadini ebrei.
Mi confemate che la nobiltà austriaca e bavarese fu tutta antinazista?
Quella tedesca, invece, si schierò in larga parte con Hitler. Avete notizie più precise?
L'argomento esula dal forum, ma consente di allargare le nostre conoscenze.
Elena45

Grazie! Lo sapevo, nella Casa di Sassonia erano tutti molto cattolici e molto buoni, cominciando proprio dal marito di Luisa.
Quanto alla nobiltà, fu in grandissima parte antinazista. Gli austriaci quasi totalmente, gli stessi Asburgo vennero abbastanza perseguitati, visto che Hitler li vedeva come il fumo negli occhi.
Ma non è da credersi che la nobiltà tedesca, cominciando da quella prussiana, fosse molto favorevole al regime. Piuttosto giocò a loro sfavore la loro mentalità disciplinata, il loro timore di commettere un peccato mettendosi contro l'autorità, perchè, come dice San Paolo, "ogni autorità proviene da Dio". Questo dicono le Sacre Scritture e questo, da buoni Luterani, era da loro rispettato. Ma è indicativo il fatto che proprio dei nobili furono organizzatori ed esecutori dell'attentato del 20 luglio 1944 (ennesimo - e quasi riuscito - di una lunga serie di attentati che erano stati preparati contro il dittatore). A questo proposito, ti consiglierei di leggere "I Diari di Berlino" della Principessina Maria Wassiltchikova, una giovane aristocratica (di origine Russa) che lavorò a Berlino durante la guerra e collaborò con gli attentatori del 20 luglio, riuscendo però a scamparla perché il suo ruolo non fu mai scoperto. Nell'attentato furono coinvolti perfino i nipoti di Bismarck! Il che è assai indicativo..

CITAZIONE (roberto 88 @ 10/2/2008, 20:45)
Sofo se vuoi la scrivo io!
FedeTere

E' un'idea! Quando sarai più grande, perchè no?
 
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view post Posted on 10/2/2008, 22:15
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Ho cercato notizie in rete sui rapporti tra le famiglie aristocratiche tedesche e il nazismo: alcuni nettamente schierati a favore, alcuni solo simpatizzanti, pochi i contrari.
La storia dell’attentato di Rastenbug del 20 luglio 1944 la conosco abbastanza: l’eroismo di von Stauffenberg, di von Moltke, di tanti ufficiali valorosi umiliati, torturati e trucidati con una ferocia senza fine. Leggerò subito il libro che mi hai consigliato.
Per alcuni di essi si trattò di una scelta tardiva, sia pure nobilissima, dettata dall’amor di patria, di fronte alla sconfitta imminente; per altri, invece, fu una vera scelta politica, a conclusione di un movimento clandestino di resistenza.
Tra i figli dell’ultimo Kaiser, Adalberto fu un ufficiale delle SA, così suo figlio. Mentre i nipoti Luigi Ferdinando e Federico presero nettamente le distanze.
Così Berthold di Baden, marito di Teodora di Grecia, una delle quattro sorelle di Filippo di Edimburgo, in quanto seguace di Kurt Hahn, educatore e filosofo ebreo. Le altre tre sorelle, invece, erano sposate ad aristocratici organici o simpatizzanti del partito nazista.
Dalla mia indagine, mi sembra che la maggioranza della nobiltà fosse schierata a favore, cosa del tutto logica in un fenomeno che coinvolse tutto il popolo tedesco.
I motivi, perdonami Sofonisba, penso che vadano oltre il rispetto dell’autorità: la sacrosanta paura del pericolo bolscevico, l’orgoglio nazionalista della vittoria mutilata ( tutti avevano almeno un caduto nella Grande Guerra), il sentimento della presunta superiorità germanica …..
Josias di Waldeck Pyrmont, Obergruppenführer delle SS, era primo cugino della regina Guglielmina d’Olanda e primo cugino di Charles Edward di Sassonia Coburgo, nipote della Regina Vittoria! Saprai certamente che quest’ultimo fu disconosciuto dalla Casa Reale britannica per la sua formale adesione al partito nazista; processato dopo la guerra, morì in miseria.
Se hai altre notizie, tu che sei così informata, ti prego di postarle.
Grazie!
 
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sofonisba
view post Posted on 11/2/2008, 11:42




CITAZIONE (elena45 @ 10/2/2008, 22:15)
Dalla mia indagine, mi sembra che la maggioranza della nobiltà fosse schierata a favore, cosa del tutto logica in un fenomeno che coinvolse tutto il popolo tedesco.
I motivi, perdonami Sofonisba, penso che vadano oltre il rispetto dell’autorità: la sacrosanta paura del pericolo bolscevico, l’orgoglio nazionalista della vittoria mutilata ( tutti avevano almeno un caduto nella Grande Guerra), il sentimento della presunta superiorità germanica …..

Questo è vero. E forse sopra mi sono spiegata male. Il rispetto dell'autorità non è certo spiegazione del perché molti guardarono con simpatia l'ascesa al potere di Hitler. Ma spiega semmai perché fu così difficile per questi signori diventare oppositori ed organizzargli addirittura un attentato. Gli stessi parenti degli attentatori, sopravvissuti alla vendetta (che coinvolse anche le famiglie innocenti, è bene ricordarlo), avevano dei dubbi sul considerare i loro parenti degli eroi piuttosto che dei traditori...
E' vero che all'inizio, nel 1933, fu facile per molti nobili tedeschi farsi delle ilusioni sulla vera natura del nascente regime... ma poi divenne sempre più chiaro con chi avevano a che fare, e penso che per molti di loro, che avevano "cavalcato la tigre", fosse ormai pressoché impossibile "scendere", per paura della vendetta che ne sarebbe seguita anche contro le loro famiglie.

PS
Distinguiamo anche tra l'aver prestato servizio nella Wehrmacht e nelle S.S. Nel primo caso, non possiamo certo fargliene una colpa, fu piuttosto una disgrazia. Mentre aver fatto parte addirittura dell S.S. richiese tutt'altro "stomaco" da parte degli interessati. Credo che questi ultimi siano stati comunque una infima minoranza.
 
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view post Posted on 11/2/2008, 19:27
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imperatore

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Perfettamente d'accordo.
Un esempio della profonda lacerazione che sconvolse i singoli ed intere famiglie è la vicenda di Filippo d'Assia.
Nipote diretto dell'ultimo Kaiser. aveva perso due fratelli nella Grande Guerra.
Il fratello minore Christoph, marito di Sofia. una delle sorelle di Filippo di Edimburgo( come già ricordavo), era appunto un ufficiale delle SS. Anche lui morì nel corso di operazioni militari, ovviamente, nella Seconda Guerra Mondiale.
Filippo, aderì al partito nazista nel 1930, Obergruppenfürher delle S.A, nominato governatore di Hesse-Kassel, non potè ignorare l'operazione Eutanasia che mandò a morte migliaia di malati mentali del suo distretto.
Ma poi cominciò a nutrire dubbi sulla natura del nazismo e sull'operato del Fuhrer.
Alla fine, come tutti sanno, sua moglie, Mafalda di Savoia, fu la vittima innocente della vendetta di Hitler e anche Filippo pagò
le sue ambiguità.
Ripeto, penso che il forum si possa allargara anche ad argomenti diversi dalla vicenda specifica di Sissi, purchè abbiano, ovviamente, interesse storico.
 
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