| Riporto gli articoli apparsi oggi sul Corriere, in occasione della rassegna «Firenze 1829. Arte, scienza, società», imperniata su quattro mostre che celebreranno la Toscana dell'Ottocento, dall'8 novembre 2009 al 9 maggio 2010.
Firenze 1829. Arte, scienza e società Palazzo Medici Riccardi In un percorso di nove sezioni la mostra illustra, attraverso dipinti, sculture, disegni, suppellettili e strumenti scientifici provenienti da musei e istituti italiani e da raccolte private, la situazione urbanistica della Firenze pre-risorgimentale.
La Fisica a Firenze nell’800. Macchine e modelli da utilizzare Museo di Storia della Scienza e Museo Galileo. La mostra ripercorre lo sviluppo delle discipline fisiche nell’Imperial Regio Museo di Fisica e Storia Naturale tra 1829 e 1859.
La Tribuna di Galileo e la Specola fiorentina Museo di Storia Naturale - Sez. zoologica La Specola Vuole essere un omaggio alle celebrazioni galileiane e agli allestimenti del museo lorenese di fisica e storia naturale.
La didattica delle scienze nell’800 Fondazione Scienza e Tecnica - Gabinetto di Fisica Erede delle collezioni didattiche del lorenese Istituto Tecnico Toscano, l’esposizione mostrerà le macchine e le attrezzature delle collezioni lorenesi per l’insegnamento delle scienze, oltre alle ricchissime attrezzature per la didattica conservate nel Gabinetto .
I CERVELLONI DEL GRANDUCA Il periodo d’oro dell’Ottocento toscano, che vide fiorire l’innovazione scientifica, rivive in quattro mostre ricche di sorprese.
Un ritratto di famiglia sullo sfondo di un parco meraviglioso, le Cascine Medicee. La scena idilliaca vede moglie, figli e figlie, composti attorno a un padre nobile e impegnato, tanto serio da non alzare gli occhi dalle carte anche se assediato da dolci affetti. Il marchese Vincenzo Antinori, il gentiluomo, non si distrae. È parte integrante del gruppo di cervelli che sta trasformando la Toscana in un motore di rinnovamento: Cosimo Ridolfi, Gino Capponi, Pietro Vieusseux, Niccolò Tommaseo e altri metteranno a confronto il rispettivo impegno, in stretto rapporto con Leopoldo II di Lorena, monarca liberale e attento. Ha fatto bene la storica Silvestra Bietoletti a scegliere il quadro di Giuseppe Bezzuoli per caratterizzare la mostra capofila della rassegna «Firenze 1829. Arte, scienza, società» che per tutta la stagione invernale aprirà al pubblico i luoghi simbolo della rivoluzione culturale affrontata dalla Toscana nel periodo post-napoleonico precedente l’Unità d’Italia. A Palazzo Medici Riccardi, assieme alle belle pitture capaci di illustrare ambienti e personaggi, compaiono arredi e decorazioni che si richiamano allo spirito scientifico dell’epoca e un sorprendente campionario di invenzioni ottocentesche che anticipano il futuro. Ma ci sono altri luoghi molto suggestivi: il Museo di Storia Naturale, detto «La Specola», restaurato dopo una lunga attesa; il Museo di storia della Scienza e il Gabinetto di fisica della Fondazione Scienza e tecnica. In Oltrarno, vicino a Palazzo Pitti, «La Specola» offre l’incontro con la Tribuna costruita, al tempo di Leopoldo, per rendere omaggio a Galileo e ricordarne la vita: una statua e molti affreschi rievocano le sue travagliate vicende. Nelle vetrine, invece, sono collocati numerosi reperti naturalistici che rievocano le sorprendenti intuizioni del periodo nei campi della botanica e dell’anatomia. Tre antichi telescopi, poi, aiutano il visitatore ad assaporare le emozioni degli astronomi del passato. Ecco infine l’Ottocento che ci meraviglia. Il ricco Museo di storia della scienza, sul Lungarno dietro gli Uffizi, per trent’anni fu diretto e rinnovato, appunto, da quel Vincenzo Antinori ritratto e celebrato nel quadro che — come si è detto — apre la mostra centrale della rassegna. Qui troviamo una panoramica di macchine elettrostatiche, pompe, modelli meccanici, ma anche bobine, batterie, camere oscure, microscopi, insomma un campionario di «diavolerie» ottocentesche sulle quali i visitatori, ben assistiti, possono perfino mettere alla prova le proprie abilità. La manifestazione può naturalmente offrire lo spunto per visite e soste in varie parti della città. Ma la mostra di Palazzo Medici Riccardi rimane la guida migliore per capire lo slancio di una regione governata e amministrata con onesta lungimiranza.
Wanda Lattes 09 novembre 2009
ARTE, RICERCA E BELLEZZA. Quell’officina di futuro chiamata Toscana felix
Formidabili quegli anni. E atipici, pure. In quell’espressione geografica che è l’Italia, spazzata dal vento gelido della Restaurazione dopo il bagno di sangue dei moti del 1820 e del 1821, c’è una regione felice. È la Toscana felix del genio di Antonio Meucci, l’ideatore sfortunato del telefono, di Cosimo Ridolfi, innovatore tecnologico e fondatore della Cassa di Risparmio di Firenze, di Lorenzo Turchini, inventore della telescrivente, di Giovan Battista Amici, progettista di telescopi e microscopi, del chimico Giuseppe Gazzeri, del botanico esploratore Giuseppe Raddi e di Felice Matteucci, il progettista del prototipo del primo motore a scoppio. È la Toscana del gabinetto cultural scientifico Vieusseux (fondato nel 1819) della Nuova Antologia, del nuovo impulso scientifico dell’Accademia dei Georgofili e degli studi «straordinari» dell’Accademia della Crusca. È la Firenze dove il Manzoni arriva per «sciacquare i panni in Arno » e traduce il suo meneghino nella lingua di Dante. Firenze sembra un’officina, che in qualche modo pare anticipare l’epoca vittoriana vagamente fantascientifica. Livorno è una città sontuosa al centro del Tirreno, frequentata dai maggiori poeti, artisti e scienziati europei e amata e scelta per un’avventura commerciale dal figlio maggiore di Mozart. Pisa brilla con l’università e in campo medico rivoluziona la chirurgia mondiale. Un’isola luminosa, insomma, nel marasma di un’Italia risucchiata dopo l’avventura napoleonica dal gorgo conservatore, che manteneva una rotta liberale e liberista. Il segreto? «Certamente il governo illuminato e tollerante di Leopoldo II—spiega Cosimo Ceccuti, storico, presidente della Fondazione Nuova Antologia —. Che apre le porte a letterati e scienziati di tutta Europa. Arrivano a Firenze, centro europeo della cultura interdisciplinare, e trovano un terreno fertilissimo. Ci sono intelligenze, come Cosimo Ridolfi, che fanno quasi spionaggio industriale e culturale. Viaggiano nelle capitali e importano in Toscana il sapere. A Firenze nasce la prima scuola femminile, il Collegio dell’Annunziata, voluto nel 1824 da quel grande educatore che era Gino Capponi. L’idea era quella di fare una donna diversa, istruita, capace di pensare e persino capace di affiancare il marito nel lavoro. Rivoluzionaria, quella scuola, tanto che i Gesuiti di Modena la fanno chiudere». Sono gli anni del fermento. Canapone (così era stato ribattezzato dai sudditi il granduca a causa dei capelli biondi) tollera e contribuisce, elargisce e finanzia la ricerca. «Proprio come dovrebbe fare il nostro governo e invece non fa», denuncia Margherita Hack, toscana doc. Guardare al passato per costruire un futuro nuovo? «Certo—continua l’astronoma— anche se a livello nazionale non vedo un nuovo Leopoldo II e invece registro tagli alla ricerca quando invece si dovrebbero aumentare i finanziamenti, come fa Obama negli Stati Uniti. Per fortuna la Toscana ha un governo decente. E ci sono eccellenze, nella scienza, come ai tempi dei Lorena. Penso all’osservatorio di Arcetri, all’Istituto della scienza di Firenze e alle eccellenze dell’Università di Pisa nell’informatica, nella robotica, e nell’ingegneria spaziale». Cristina Acidini, soprintendente del polo museale fiorentino, parla di un momento di grazia: «Le arti e le scienze non si sono ancora voltate le spalle e l’arte è ancora il linguaggio espressivo di cui si serve la scienza. Gli strumenti scientifici hanno un codice estetico di rara bellezza. Utilitas e venustas viaggiavano sullo stesso piano. Solo più tardi la ricerca sentirà di fare a meno della bellezza e l’arte sarà fine a se stessa. Si realizza la tribuna di Galileo nel museo della Specola (1842) dove i successi della scienza sono espressi con il linguaggio delle arti. I bassorilievi rappresentano gli strumenti scientifici e sono elemento di sfida iconografica, sintesi di un equilibrio prezioso e instabile». E la politica? Federico Gelli, vicepresidente della Regione, agli anni formidabili di Canapone ci pensa spesso. «Quel governo illuminato ha gettato le basi della Toscana moderna — dice —. La spinta propulsiva non si è ancora conclusa, nonostante siano passati quasi due secoli. Da lì, da quegli anni formidabili, bisogna attingere humus per guardare a un presente e futuro di buon governo, di inclusione e di sguardi profetici verso la ricerca. Noi a questo stiamo lavorando. Con progetti pensati per le tre università, Firenze, Siena e Pisa, per valorizzare le eccellenze. Lo spirito di Leopoldo II vive ancora qui da noi».
Marco Gasperetti 09 novembre 2009
Per finire, un articolo in controtendenza.
IL BUON GOVERNO DEL MITE LEOPOLDO. L’erede degli Asburgo-Lorena favorì il rinnovamento agrario e l’ascesa dei moderati
"Canapone»: a Leopoldo II il termine, non necessariamente malevolo, fu applicato in senso molto negativo, se non proprio derisorio. Si riferiva a una persona anziana o a un vecchio, quindi non più nel fiore della maturità, senescente, un po’ pesante, dallo zazzerone biondo stoppa. L’uomo, in effetti, giustificava un tale appellativo, ma a determinarlo valse forse l’accentuato tradizionalismo del suo stile di sovrano e di governo (e c’era forse in «canapone» anche un richiamo a «canapè», il divano imbottito da salotto, allora molto in voga, buono anche da sonnecchiarvi, se non dormire). Leopoldo aveva conosciuto in gioventù l’esilio. Certo, quando in Toscana col padre Ferdinando III tornò, a 17 anni ormai, nel 1814, non poteva pensare che nel 1859 avrebbe conosciuto un nuovo esilio, definitivo questa volta. Ma quell’esilio finale non era, poi, casuale. Un po’ se lo tirò addosso lui stesso con la sua linea di governo che, prima del 1848, aveva certo ammorbidito di parecchio lo spirito rétro della Restaurazione, ma non aveva mai davvero familiarizzato con le forti tendenze toscane costituzionali e liberali, oltre che nazionali. Dopo il 1848 lo si vide ancor più, e quando si seppe che l’intervento di Vienna per rimetterlo sul trono nel 1849 era stato chiesto da lui stesso, le sue residue possibilità di intesa coi liberali e moderati toscani furono ormai pregiudicate. Con lui finiva a Firenze la dinastia degli Asburgo-Lorena, che proprio in Toscana, dal 1765 al 1790, con suo nonno Pietro Leopoldo, poi imperatore, aveva dato uno dei più rilevanti modelli di regime riformatore di quel tempo. Per la verità, qualcosa di questo riformismo sopravvisse nel regno del Nostro dal 1824 al 1848. Il buon governo si esplicò in una linea di saggia amministrazione, che non rivoluzionò le condizioni della Toscana, ma certo favorì il rinnovamento agrario e il rafforzamento dei ceti moderati, spina dorsale degli eventi posteriori. Soprattutto, poi, l’aria del Granducato apparve più mite e tollerante di quella di ogni altro Stato italiano, specie dopo i moti del 1820-21, e la Firenze di allora fu quasi la capitale culturale e civile di quell’Italia che riluttava alla disciplina di Metternich. Una rivista, l’«Antologia», ne fu la viva espressione. Il gabinetto Vieusseux fornì un luogo di conversazione e di convegno ben presto famoso. Tutto ciò conveniva molto allo spirito di Leopoldo II. In gioventù aveva coltivato in particolare gli studi letterari. Aveva pure pubblicato un’edizione delle poesie di Lorenzo il Magnifico, per cui nel 1817 venne accolto nell’Accademia della Crusca. Una pigra tolleranza, senza agitazioni e con il guadagno di una buona fama, rispondeva bene ai suoi gusti, se non borghesi, certo non molto aulici. Morta nel 1832 la prima moglie Maria Anna di Sassonia, aveva nel 1833 sposato Maria Antonia, sorella del re di Napoli, Ferdinando II di Borbone, avendo dalla prima moglie tre e dalla seconda ben dieci figli. Ma col tempo e col maturare di più forti passioni liberali e nazionali il clima toscano da respirabile divenne tedioso. La sonnacchiosa Toscana, la Toscana di Morfeo e simili espressioni si diffusero anche più del giusto. Qualcosa, però, in effetti, non andava sotto quel cielo relativamente tranquillo. Nel 1833, su impulso di Vienna, fu soppressa l’«Antologia». I rapporti coi moderati toscani si allentarono, e si ricomposero poi, in qualche modo. Ma alla tempesta del 1848 lo spirito bonario e il buon senso, sempre apparsi propri di Leopoldo, non sopravvissero. Che cosa lo abbia portato a questo piuttosto radicale cambiamento non è facile dire. Forse, la grande paura del 1848. Cacciato dal trono nel 1859, Leopoldo si occupò, fra l’altro, delle sue proprietà (alcune erano nel Casentino e nella Maremma, ossia nella nuova Italia che egli aveva avversato). Ma anche Leopoldo era ormai diverso. Passò gli ultimi anni in Austria, ma poi, peggiorato in salute, e preso da forti impulsi religiosi, si trasferì a Roma, per essere così più vicino al capo della Chiesa e vi morì, il 29 gennaio 1870, l’anno ultimo del potere temporale dei papi: quasi in piena coincidenza cronologica, dunque, con la fine del mondo al quale egli era appartenuto.
Giuseppe Galasso 09 novembre 2009
Edited by elena45 - 10/11/2009, 15:44
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